Premessa.
In un articolo sulla rivista Testimonianze [n. 326, pp.48-53, 1990], pensando soprattutto ai paesi in via di sviluppo scrivevo:
” .. non si può coniugare il rispetto dell’ambiente, su cui tutti dicono di essere d’accordo, l’idea delle risorse limitate, il rispetto della vita con l’assenza di politica demografica, se si intende con questo termine una politica che cerchi di gestire il rapporto tra popolazione e territorio. Adottando questo punto di vista la politica demografica non riguarda più i soli paesi del terzo mondo, ma anche i paesi industrializzati, con tassi di natalità in continua diminuzione, ma la cui popolazione continua ancora a crescere, sia pur lentamente. Li riguarda non per gli aspetti spesso toccati sui giornali relativi all’invecchiamento della popolazione e quindi per le conseguenze che questo comporta in termini di assistenza agli anziani, di pagamento delle pensioni, bensì perché essi sono non solo sovrappopolati rispetto alla maggior parte del mondo, ma soprattutto perché lo sono in rapporto alle risorse che utilizzano e che sono superiori a quelle fornibili dal territorio da loro occupato.
Spesso si parla di “carrying capacity”, di capacità di sostenta¬mento da parte dei paesi e dei terreni agricoli, anche se di rado si fanno quantificazioni e solo oggi ci si pone il problema della sostenibilità in senso ampio, considerando la necessità di salvaguardare anche ambienti non occupati dall’uomo, sempre nell’ottica della sopravvivenza dell’uomo stesso.”
” ….. in Europa la crescita della popolazione è stata rapida nel secolo scorso ed in questo, malgrado la fortissima emigrazione in continenti molto più grandi e poco popolati, o resi tali dagli europei stessi, malgrado l’infanticidio praticato largamente, malgrado il lavoro notturno e diurno dei bambini dai 5(cinque) anni in su, malgrado le guerre che hanno insanguina¬to il continente ed il mondo. Il tasso d’incremento europeo raggiunse l’1,2% nel 1900, calò bruscamente con le due guerre e tornò al precedente valore nel “baby boom” dopo la seconda guerra mondia¬le, per cominciare poi il calo che lo ha portato agli attuali valori, al limite della sostituzione.
Sono quindici anni che il tasso d’incremento dei paesi in via di sviluppo è intorno al 2,5%.
Nella storia dell’umanità mai si è verificata una simile situazione…..
Trovo quindi fuorvianti le affermazioni secondo cui l’esperienza storica mostra che il tasso di crescita incomincia a decrescere solo dopo che è avvenuto lo sviluppo economico e sociale. Il problema è se e come tale sviluppo potrà avvenire. ”
Oggi mi preme evidenziare il fatto che la rapidissima crescita della popolazione ha portato ad un cambiamento di scala dei problemi, senza che sia cambiata la cultura dell’uomo nel rapporto con il mondo. La crescita della popolazione, permessa dalla rivoluzione industriale nata dallo sfruttamento delle fonti energetiche fossili, ha radicalmente cambiato il peso dell’uomo sul sistema che ha permesso la nascita e lo sviluppo della vita su questo pianeta, almeno nelle forme in cui la conosciamo e di cui facciamo parte.
L’unica rivoluzione con cui possiamo confrontare i cambiamenti avvenuti è quella che abbiamo definito neolitica, con l’introduzione dell’agricoltura e dell’allevamento stanziale. Tale cambiamento causò anche allora una notevole crescita, continuata fino all’inizio dell’era cristiana, quando si raggiunsero circa 300 milioni di persone sul pianeta dai circa 5 milioni presenti intorno al 10000 a.C..
Con la differenza, che la crescita avvenne in alcune migliaia di anni e con molteplici centri di sviluppo, in molte generazioni, con la possibilità di modificare le culture, che comunque non dovettero cambiare quanto dovrebbero oggi. I numeri erano piccoli ed inoltre c’era sempre un altro territorio, più o meno abitato, da colonizzare o invadere. Mentre inizialmente si aveva un ritmo di crescita che portava al raddoppio ogni 1000 anni, siamo passati da 1 a 2 miliardi dal 1800 al 1930, a 4 nel 1975 e si prevede di arrivare ad 8 nel 2030. Non solo sono ridottissimi i tempi di raddoppio, ma il valore numerico è spaventoso.
Alla fine del secolo scorso sono state completamente colonizzate l’America e l’Australia. Per la prima volta nella storia dell’umanità non ci sono nuove terre da invadere. L’energia necessaria per colonizzare altri pianeti e per portarvi uno o due miliardi di persone è probabilmente al di là di ogni nostra capacità di comprensione, malgrado i racconti di fantascienza.
Cambiamento culturale.
Se la cultura è stata lo strumento evoluzionistico che ha permesso finora la sopravvivenza dell’umanità, essa dovrà profondamente cambiare per garantire il futuro della specie. Non si possono affrontare i problemi posti dalla popolazione attuale usando le idee e le esperienze sviluppate in condizioni totalmente diverse. Non si può dimenticare che quando si superano alcuni livelli quantitativi, i problemi cambiano dal punto di vista qualitativo a causa della diversa scala. Un elefante non può avere la stessa struttura di una formica, né una sequoia quella di una spiga di grano.
La storia non ci può più essere maestra, può solo fornire scarne indicazioni.
Lo sviluppo dei mezzi di comunicazione propone ogni giorno a ciascuno di noi i problemi del mondo che appaiono sempre più numerosi e caotici; l’economia globalizzata e gli spostamenti di popolazioni aumentano i confronti tra le diverse culture, facendo aumentare la sensazione di incertezza, dato che vengono a mancare i riferimenti. La sinistra storica ed i lavoratori sono cresciuti in una visione positivista e progressista del mondo e della storia che comunque sarebbe andata “avanti”, migliorando le condizioni di conoscenza e di lavoro.
Ricordate lo sconcerto dopo l’incidente di Chernobyl, quando gli esperti, gli scienziati, non erano d’accordo tra loro? E’ stato un momento della verità per il grande pubblico.
Anche la scienza oggi non dà più le certezze di prima, la storia, vedi Yugoslavia e Russia, non ha più il senso del progresso. L’incertezza domina, l’identità ne soffre.
E’ necessario creare una nuova visione del mondo.
E allora qualcuno propone di considerare finita la Storia. A ben guardare però anche il famoso Fukuyama è tutto interno alla mentalità storica suaccennata. Per lui la storia finisce con la realizzazione delle democrazie liberali; gli USA lo sono e quindi la parola fine appare sugli schermi. Prescindendo dalla valutazione di che tipo di democrazia si abbia negli Stati Uniti e quanto essa effettivamente realizzi una democrazia liberale, discorso che da solo riaprirebbe il corso della Storia, forse dovremmo chiederci anche se un tale tipo di democrazia sia adatta ad affrontare e risolvere i problemi derivanti dalla premessa. La Storia non è finita.
Il cambiamento culturale necessario ad affrontare i problemi attuali dell’umanità, richiede non solo l’elaborazione di diversi parametri di valutazione della situazione, ma anche un mutamento degli strumenti di azione e quindi delle politiche da attuare.
Considerare che la terra è finita, limitata e così le sue risorse utilizzabili per la vita dell’uomo e delle altre specie viventi con cui deve condividerle, chiede di utilizzare tutte le conoscenze del genere umano, tutte le culture dell’Umanità.
La ricerca del necessario dialogo con le altre culture non deve far dimenticare i fondamentali diritti accettati dalla Carta dell’ONU. I diritti umani sono stati elaborati all’interno della cultura occidentale e ne sono il valore più proponibile agli altri. Non bisogna dimenticare che tali diritti, pur nati da una elaborazione proveniente dall’alto, sono stati conquistati dalle classi subalterne con la lotta. Essi fanno parte oggi della nostra identità di europei ed il confronto con gli altri su questi temi, alla ricerca di ciò che può unire, non può prescindere da questa considerazione. Troppo spesso il passato colonialista, ed il presente, delle classi dominanti occidentali, porta ad assumere atteggiamenti critici anche nei confronti di quelle che, in realtà, sono state le uniche vere conquiste di libertà delle classi deboli, conquiste mai definitive e complete al di là delle enunciazioni.
Certo la libertà politica può sembrare non importante a chi soffre la fame, ma è essenziale per lottare contro la fame stessa perché essa sola permette di liberare le risorse intellettuali degli individui necessarie per affrontare i problemi.
La libertà è necessaria ma deve trovare limiti non solo, genericamente, in quella degli altri, ma anche e sopratutto nel bene comune. Principi affermati già in tante Costituzioni, in modo chiaro anche in quella Italiana, ma che dobbiamo essere capaci di realizzare nella politica di tutti i giorni. Per farlo però tali principi dovrebbero entrare nella mentalità corrente di tutti gli uomini
La politica attuale
Purtroppo l’ideologia neoliberista imperante è la meno adatta a porre il problema del bene comune, nella convinzione che esso sia solo il risultato della sommatoria degli interessi del singolo. Non fa parte di questa ideologia il concetto di cambiamento del problema al variare della scala, come dimostra l’idea diffusa che si possano sempre e comunque aumentare le dimensioni e connesse quantità delle strutture materiali ed organizzative.
L’unica risposta che tale ideologia fornisce ai problemi del mondo, è quella della totale libertà di commercio e produzione, come mostrano gli accordi internazionali NAFTA ed il tentativo del MAI, che si continua a perseguire all’interno del WTO.
Insieme si porta avanti una idea neo-darwiniana dell’economia con il più forte che ha il diritto- dovere di vincere.
Le conseguenze sul piano politico sono evidenti. Il futuro sul pianeta appartiene ai più forti e non si accettano limiti. Ormai molti sono concordi sul fatto che le ultime guerre, nel Golfo, in Afganistan, in Bosnia ed in Irak hanno la loro radice nel controllo della principale fonte energetica oggi utilizzata, il petrolio, il cui costo presto crescerà ben oltre le fiammate cui abbiamo assistito in questi ultimi mesi. Le analisi sviluppate dagli stessi produttori portano a prevedere un incremento del costo dovuto non tanto al terrorismo, quanto alla forbice tra capacità produttiva e crescente richiesta da parte dei paesi industrializzati e di quelli in rapida crescita demografica ed economica come l’India e la Cina
Le organizzazioni internazionali che potrebbero rappresentare un baluardo alla legge del più forte, sono state sempre più emarginate e delegittimate. Oggi la potenza dominante non accetta più neppure il controllo della stampa, figuriamoci quello degli alleati o delle organizzazioni internazionali.
All’interno di ogni società si assiste ad una crescita enorme del divario tra ricchi e poveri, divario ancora maggiore se il confronto avviene tra società diverse. Gli investimenti della ricerca medica sono fatti per produrre profitto e quindi per curare le malattie dei ricchi, sempre meno si spende in prevenzione, che non si fa solo con la medicina, che riduce i morti, riguarda tutti, ma non crea profitto.
Culturalmente questo approccio neoliberista è stato diffuso da una moltitudine di economisti, scrittori, registi. Si rifletta sull’ideologia di tutti i film della serie “Rambo”, di quelli sulle guerre stellari o su futuribili mondi disastrati ove solo i forti sopravvivono (Water world, Blade Runner, Fuga da Los Angeles etc.), per non dimenticare le serie infinite dei cartoni animati giapponesi. Sono anni che veniamo preparati ad accettare come normale ciò che sta accadendo.
Ed infatti stiamo accettando i campi di concentramento nei Balcani, gli stupri “etnici”, le stragi in Algeria, l’annientamento del Palestinesi, dei Kurdi, le morti Africane per fame, AIDS, guerre più o meno tribali, la guerra in Afganistan e quelle in Iraq, le torture, il terrorismo sempre più catastrofico e disumano. Alla potenza militare si oppone infatti il terrore, arma poco costosa, solo un po’ di vite umane, che non richiede tanti investimenti, dato che se non si riesce a rubare un’arma atomica, si può sempre ripiegare su una biologica o su qualche dirottamento aereo. La copertura dei mezzi di informazione è assicurata ed il terrore aumenta sempre più.
Esso infatti è necessario ai terroristi, ma anche a chi detiene già il potere. L’ideologia neoliberista non ha bisogno della democrazia e della libertà. La storia lo mostra, da Hitler al Cile di Pinochet, alla Cina attuale. Infine possiamo constatare come negli USA ed in Inghilterra si sia arrivati ad abolire, con le leggi cosiddette antiterrorismo, l’Habeas Corpus, la più antica conquista di libertà del mondo occidentale che impediva di imprigionare e condannare le persone senza il giudizio di un giudice ed in base alle leggi del loro paese. Sappiamo che cosa sia oggi Guantanamo dal punto di vista legale: l’abolizione di quel diritto acquisito con la “Magna Charta” nel 1215.
Questa è la vittoria del terrorismo, quello di chi uccide gli ignari passanti facendosi esplodere e di chi li uccide con un bombardamento “chirurgico”.
Certo è che la logica della violenza e delle armi, che è logica di distruzione ed annientamento, non può preservare le risorse e porsi il problema della sopravvivenza dell’umanità sulla terra.
Allora dovremo accettare la scomparsa delle foreste pluviali, della diversità biologica, la distruzione del patrimonio ittico, di interi bacini fluviali per la realizzazione di dighe immense il cui principale scopo è il controllo della risorsa acqua. Ed i disastri saranno sempre attribuiti alla natura matrigna che si accanisce contro l’uomo faber, Prometeo contro cui si accaniscono gli Dei.
Non è possibile parlare di sostenibilità, di pace e giustizia, di futuro, in un mondo che riutilizza una vecchia ideologia come quella neoliberista per affrontare problemi totalmente nuovi.
Il mondo sarebbe “sostenibile” solo per pochi forti sopravvissuti ai molti deboli. La struttura sociale tornerebbe quella che abbiamo già storicamente vissuto, pochi “uomini liberi” serviti da una moltitudine di schiavi che uomini non sono considerati. Come nella Grecia classica, nell’impero Romano, in quello Cinese, nei mai realizzati sogni Hitleriani.
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