9-2021
Le notizie sugli aumenti delle bollette elettriche e del gas hanno fatto riflettere sulla scarsa incidenza delle energie rinnovabili sulla produzione italiana. Secondo i dati su consumi energetici sia a livello EU che nazionale, il settore civile assorbe circa il 40% dei consumi energetici, motivo per cui la direttiva EU 31 del 2010, recepita con DL 4 giugno 2013, n. 63 dall’Italia, introduceva l’obbligo degli edifici NZEB (Near Zero Energy Building). Si tratta di edifici autosufficienti dal punto di vista energetico, utilizzanti fonti energetiche prodotte sul posto.
Tale obbligo, per gli edifici di nuova costruzione, è scattato dal gennaio 2020 per gli edifici pubblici e dal gennaio di quest’anno per tutti gli altri. E’ strutturata la PA per rispettare e far rispettare questa legge?
Secondo il principio di legalità, in diritto, tutti gli organi dello Stato sono tenuti ad agire secondo la legge. Tale principio ammette che il potere venga esercitato in modo discrezionale, ma non in modo arbitrario. Ebbene le carenze enunciate sulla produzione di fonti rinnovabili mostrano che le pubbliche Amministrazioni non hanno rispettato e fatto rispettare le leggi, Infatti già la legge n. 10/1991 prevedeva (comma 7, articolo 26) che “negli edifici di proprietà pubblica o adibiti ad uso pubblico è fatto obbligo di soddisfare il fabbisogno energetico degli stessi favorendo il ricorso a fonti rinnovabili di energia salvo impedimenti di natura tecnica od economica”.
Di più: dal 2009 la legge nazionale prescrive sempre l’uso delle fonti rinnovabili per gli edifici (DPR 59, 2/4/2009 – Art.4, Comma 22: “Per tutte le categorie di edifici, così come classificati in base alla destinazione d’uso all’articolo 3 del decreto del Presidente della Repubblica 26 agosto 1993, n. 412, nel caso di edifici pubblici e privati, è obbligatorio l’utilizzo di fonti rinnovabili per la produzione di energia termica ed elettrica. In particolare, nel caso di edifici di nuova costruzione o in occasione di nuova installazione di impianti termici o di ristrutturazione degli impianti termici esistenti, l’impianto di produzione di energia termica deve essere progettato e realizzato in modo da coprire almeno il 50 per cento del fabbisogno annuo di energia primaria richiesta per la produzione di acqua calda sanitaria con l’utilizzo delle predette fonti di energia.”
Tra l’altro la definizione di “edificio di nuova costruzione” è data dal testo unico dell’edilizia (D.P.R. n. 380/2001) che all’art. 3, stabilisce che sono interventi di nuova costruzione:
1) la costruzione di manufatti edilizi fuori terra o interrati, ovvero l’ampliamento di quelli esistenti all’esterno della sagoma esistente
2) gli interventi di urbanizzazione primaria e secondaria realizzati da soggetti diversi dal comune;
3) la realizzazione di infrastrutture e di impianti, anche per pubblici servizi, che comporti la trasformazione in via permanente di suolo inedificato;
4) la realizzazione di depositi di merci o materiali, la realizzazione di impianti per attività produttive all’aperto ove comportino lavori cui consegua la trasformazione permanente del suolo inedificato
Come si vede la casistica è ampia, con ricadute urbanistiche non marginali, dato che la produzione in loco dell’energia rinnovabile richiede spazi dedicati.
Non è la prima volta che le leggi sono inapplicate, come esempio si veda il D.L. 14/4/’78 n.122, che pone come unico legale il SI (Sistema Internazionale di misura), D.P.R. 12/8/1982, n.802 lo rende obbligatorio e concede un periodo transitorio per l’applicazione. Tale periodo sembra sia stato allungato a dismisura dato che sia il Parlamento nelle leggi che i Ministeri continuano ad usare unità di misura “illegali”, così come i fornitori di energia nelle bollette. In questo caso le conseguenze sono marginali, ma per le rinnovabili il danno dell’”illegalità” è pesante.
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